RIDARE DIGNITÀ AL PAESE, ALLE PERSONE, AL LAVORO.

Too hot to….Kill: il punto caldo della questione stress termico 

Too hot to….Kill: il punto caldo della questione stress termico 

Di Matteo Pellegrini – Uiltrasporti Lombardia 

Il clima sta inevitabilmente cambiando, quali siano le cause e quali le prospettive, sono e restano oggetto di un costante ed acceso dibattito. Di questo non si interroga il solo mondo scientifico, ma resta centrale il dibattito nel contesto socio-politico, visto l’impatto di alcune possibili criticità che il cambiamento climatico stesso comporta sulla stabilità sia ambientale che economica. Resta incontrovertibile che questa cosiddetta emergenza climatica comporti inevitabili conseguenze anche sul contesto lavorativo, soprattutto nei riguardi di alcune mansioni particolarmente esposte al definito STRESS TERMICO.  

Sovente nei diversi ambiti collegati ai nostri comparti, ci si interfaccia con questa importante quanto non totalmente contestualizzata criticità. Quando si parla di rischio, riferito all’esposizione allo stress termico, si parla quindi di rischio da esposizione all’irradiazione al caldo, ergo la probabilità che una persona subisca effetti negativi sulla salute a causa dell’esposizione a temperature elevate, spesso aggravata da fattori ambientali (umidità, radiazione solare, assenza di ventilazione) e individuali (età, stato di salute, attività svolta, abbigliamento, idratazione). Nel contesto della salute e sicurezza sul lavoro, il rischio da esposizione al caldo viene inquadrato come un rischio di tipo microclimatico che può determinare, per l’appunto, stress termico, ciò rientra tra i rischi da valutare inserendo quanto analizzato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), come per altro indicato nello stesso articolo 28 del Dlgs 81 del 2008, supportato dall’indicazione presente nell’articolo 180, riguardo il microclima, presente nella medesima norma. 

I rischi per la salute possono comportare situazioni particolarmente compromettenti, si passa da effetti lievi e moderati, come spossatezza, crampi e disidratazione, sino a effetti molto più gravi ed a volte purtroppo fatali, come i colpi di calore, svenimenti e aggravamenti di patologie preesistenti. Inoltre resta fondamentale ricordare quanto queste condizioni siano in grado di aumentare il rischio di errore, comportando un incremento significativo delle probabilità che si verifichino infortuni ed incidenti in grado di coinvolgere più soggetti, soprattutto in contesti lavorativi ove presenti più operatori o vi siano acclarati rischi interferenziali.  

Insomma, la questione risulta molto seria e meritevole di attenzioni ed approfondimenti. Sono stati strutturati interventi atti a disporre indicazioni e previsioni idonee a mitigare in primo luogo l’esposizione e quindi le conseguenze negative sopra descritte. Il tema delle temperature, soprattutto nel contesto indoor, venne precedentemente trattato dalla Direttiva europea 89/391/CEE (Allegato 1) recepita successivamente dall’allegato IV del Dlgs 81 del 2008, al punto 1.9.2 dell’Allegato stesso ed in ulteriori punti 1.11 e ss. per quanto concerne locali di riposo e refettori adibiti al ristoro anche dagli agenti atmosferici (il richiamo al lavoro svolto all’aperto si rivede nel punto 1.14.1 della stessa disposizione). Per ampliare ulteriormente la tesi della correlazione tra l’integrità psicofisica del lavoratore e l’attenzione alle innovazioni ed alle evoluzioni dei contesti di lavoro, inteso come obbligo del datore di lavoro a recepire qualsiasi tipologia di rischio, compreso quello ambientale, non possiamo che citare quanto disposto dall’articolo 2087 del Codice Civile. Partendo quindi da questi presupposti si arriva sino agli interventi che, ad oggi, risultano indicativi della volontà e della necessità di affrontare la criticità legata alla esposizione alle alte temperature nei luoghi di lavoro. Si sono quindi strutturati provvedimenti da parte dell’INAIL e dell’INL riguardo, per l’appunto questo tipo di stress fisico.  

Diciamo che una forte sterzata si strutturò nel 2020, attraverso il progetto Workclimate (INAIL-CNR), un progetto che ha il fine di portare una forte attenzione verso questa tematica tanto pericolosa per la salute di chi opera in determinati contesti lavorativi. In breve, Workclimate è finalizzato a monitorare il rischio, prevederlo ove possibile e fornire gli strumenti necessari a contrastarne gli effetti nocivi. Non vi è un reale effetto giuridico, non quindi una vera obbligazione da parte datoriale di aderire al progetto, vero però che le successive linee guida sempre dell’INAIL e soprattutto il protocollo INL n. 5056 del 2023 (connesso con protocollo INL 4753 del 2022) citano questo progetto con la finalità di implementare la idonea valutazione del rischio da parte delle aziende da inserire nel DVR. Dallo stesso protocollo (ma non solo) si evince l’utilizzo di alcuni specifici indici in grado di analizzare il livello di condizione di rischio sulla base dell’ambiente di lavoro e delle mansioni eseguite, si parla degli indici WGBT (UNI EN ISO 7243/2017), dell’indice PHS (UNI EN ISO 7933/2020) e degli strumenti tecnici UNI EN ISO 7726/2003 utilizzati per le grandezze fisiche dell’ambiente. Alle indicazioni sopracitate si aggiungono i Protocolli annuali per “L’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro”, come quello stipulato a luglio di quest’anno, richiamato dal DM n. 95 di luglio 2025. In aggiunta a quest’ultimo si aggiungono quelli disposti dalle differenti regioni coinvolte. Per quanto concerne i Protocolli, questi ultimi vedono come protagonisti anche le parti sociali e quindi quelle sindacali. Queste disposizioni attenzionano sia gli ambienti di lavoro aperti (outdoor) sia quelli cosiddetti indoor. Il fine ultimo resta quello di promuovere la continuità delle attività produttive garantendo però condizioni di sicurezza per tutti gli operatori coinvolti in tali attività. Questi Protocolli si basano su 4 punti fondamentali riguardo la prospettiva legata al prevenire, soprattutto nel lungo periodo: informazione/formazione, Sorveglianza sanitaria, DPI, riorganizzazione dei turni e orari di lavoro. Ora sulla base di quanto descritto e previsto, cerchiamo di porre una ulteriore analisi in merito al nostro settore ed il coinvolgimento nei differenti ambiti riguardo questa tipologia di rischio. I diversi comparti risultano, nella loro complessità, ampliamente coinvolti in quanto descritto, la lista delle mansioni che comportano una netta e continuativa esposizione allo stress termico risulta molto ampia e doverosa di una idonea attenzione da parte dei diversi attori che si interfacciano nel sistema Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro. Alcuni protocolli ed alcune conferenze stato-regione prevedono ad esempio una parte specifica dedicata al contesto della Logistica, un settore molto colpito dalle criticità sia sotto l’aspetto cosiddetto indoor che outdoor.  

La componente maggiormente delicata risulta quella inerente all’esenzione verso l’applicazione delle linee guida indicate nei protocolli, riguardo quelle attività che si occupano di pubblico servizio e/o di attività attinenti a quest’ultimo. Ecco questo risulta un tasto dolente per quanto concerne i nostri comparti, si pensi al trasporto pubblico ovvero alla nettezza urbana, alla viabilità oppure ai centri nevralgici come i porti o gli ospedali (multiservizi). Se già nel settore logistico possano risultare numerose criticità riguardo l’applicazione e l’attenzione verso l’adeguato rilevamento del rischio in questione e le eventuali misure da adottare, (spesso giudicate da parte datoriale dispendiose ed impattanti sulla produttività) nonostante le stesse indicazioni risultino scarne e solo parzialmente trattate (si pensi al solo intervento della Conferenza Stato-Regioni, oppure ai soli interventi su base regionale e non su scala nazionale), il fatto di escludere determinati contesti comporta una grande difficoltà ad intervenire in merito ad una maggiore sensibilizzazione delle conseguenze di una prolungata e costante esposizione allo stress termico. Le principali linee guida indicate all’interno dei protocolli riguardano, ad onor del vero, i settori dell’Edilizia e dell’Agricoltura, di certo ampiamente meritevoli e doverosi dell’attenzione particolare riguardo alla criticità connessa alle elevate temperature, resta però molto vago e generico invece quanto indicato nei numerosi ulteriori ambiti di lavoro altrettanto vulnerabili al rischio in questione. Si pensi alle manutenzioni stradali e autostradali, alle attività di mantenimento delle strutture ferroviarie e tramviarie, alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti, alle differenti mansioni outdoor ed indoor nei contesti aeroportuali, al corretto funzionamento dei mezzi di trasporto (con e senza utenza), ai sistemi portuali, insomma a tutte quelle mansioni riconosciute nel settore e meritevoli di una idonea regolamentazione e di interventi efficaci a mitigare il problema. Si potrebbe pensare di intervenire strutturando linee guida specifiche, sia a carattere nazionale che territoriale, cercando di aprire un confronto costruttivo riguardo il mantenimento dell’integrità correlata al pubblico servizio, coadiuvata però da una gestione oculata delle attività, intervenendo ad esempio sulla organizzazione del lavoro, senza sospendere in toto l’esercizio o la produttività. Un fattore da tenere sicuramente in considerazione non può che risultare l’effettiva carenza di una strutturata disposizione, o meglio integrazione, del Decreto Legislativo 81 del 2008, in merito a questa tipologia di rischio effettivo ed altamente impattante, questo ovviamente potrebbe comportare una svolta in merito alla tutela verso “l’irraggiamento” effettivo al calore atmosferico e/o il derivato aumento delle temperature nei locali di lavoro (o di ristoro), seppur già parzialmente trattata nell’allegato IV citato precedentemente. Esistono fulgidi esempi in cui la contrattazione stessa di primo o secondo livello, in altri settori ad esempio (vedi edilizia), ha riportato un concreto utilizzo del cosiddetto solo e singolo “buon senso”, riportando disposizioni e controlli accurati in materia.  

Certo è doveroso ripeterlo, la maggior parte dei nostri comparti si sviluppa nell’ambito del servizio alla collettività, oppure si concentra su un elevato concetto di produttività (vedi logistica) correlata all’interesse collettivo, questo influisce non poco sulla inclinazione delle aziende interessate al settore, nel recepire in toto alcune possibilità di revisione della propria organizzazione del lavoro o nella fornitura di idonei spazi, strumenti o DPI idonei alla totale protezione dal pericolo in esame. Ma insomma il cosiddetto “punto caldo” resta questo: il rischio c’è ed esiste, è concreto. Chi opera sia nel contesto indoor che outdoor nei diversi comparti del settore dei trasporti risente pressoché quotidianamente, diciamo “sulla propria pelle”, della problematica, ricercando spesso risposte (sovente verso i propri rappresentanti sindacali) e sottolineando le conseguenze riportate da un punto di vista psicofisico, uno stress vero e proprio. Resto comunque dell’idea che possa concretizzarsi la possibilità di raggiungere un dialogo proficuo con gli enti nazionali, territoriali e di conseguenza con le parti datoriali, al fine di ricercare soluzioni atte a permettere anche ai nostri RLS di riportare ed intervenire sulla questione in maniera concreta, fornendo loro gli strumenti necessari all’apertura ed alla ricerca di soluzioni effettive nelle specifiche realtà da essi stessi vissute e rappresentate. Questo per l’appunto, senza impattare eccessivamente sulla funzione operativa delle aziende e le possibili ripercussioni sulle prestazioni. Insomma occorre non solo tenere aperto il dialogo esistente, ma amplificarne l’efficacia anche a settori come il nostro, in maniera chiara ed analitica. Il cambiamento climatico è menzionato in ogni disposizione e protocollo citati, il tema oggi quindi è di certo caldo, anzi forse troppo caldo. Qualora questo “calore” diventasse eccessivo, dobbiamo per forza ripararci.