La transizione di genere: affrontare le difficoltà nei luoghi di lavoro
Di Ivana Di Tanno e Matteo Pellegrini – Uiltrasporti Lombardia
La transizione di genere rappresenta un percorso profondamente personale e complesso, in grado di coinvolgere aspetti identitari, sociali e spesso anche medici. Ovviamente, come possiamo immaginare, durante questa transizione, la persona interessata intreccia le proprie esigenze e bisogni anche con il contesto lavorativo. Questo comporta un ampio spettro di possibili criticità e la necessità di una particolare tutela rispetto all’inclusione e alla prevenzione verso qualsiasi forma di discriminazione. In questa fase il sindacato può di certo svolgere un ruolo di primo piano, al fine di supportare ed agevolare, almeno per quanto concerne la componente lavorativa, il lavoratore o la lavoratrice che intende affrontare un processo complicato come la transizione. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti passi in avanti sul piano normativo, attraverso l’adozione di disposizioni nazionali ed internazionali, le difficoltà pratiche e culturali permangono ancora in molti ambienti professionali. La normativa di certo esiste e prevede un ampio spettro di tutele, partendo in senso generale dall’articolo 3 della Costituzione, in merito all’uguaglianza ed al divieto di discriminazione, arrivando sino alla legge n.164 del 1982, dispositivo che in origine richiedeva l’intervento chirurgico come obbligo per la variazione anagrafica, successivamente eliminato dalla giurisprudenza della Cassazione con le sentenze n. 221 del 2015 e n.15138 del 2015 e dal Decreto Legislativo 198/2006. L’identità di genere, anche se non citata direttamente dal Codice delle Pari Opportunità, che prevede il divieto di discriminazione basata sul genere, è stata spesso richiamata nel merito dalla giurisprudenza. Anche nell’ambito del lavoro le disposizioni sono chiare e presenti: la Direttiva europea 2000/78/CE non cita direttamente l’identità di genere, ma la Corte di Giustizia UE ha inteso che quest’ultima rientra comunque nel contesto discriminatorio (caso P. v S. and Cornwall Country Council del 1996). In Italia questa Direttiva UE è stata recepita attraverso il Decreto Legislativo 216/2003, vietando le discriminazioni sul luogo di lavoro e di conseguenza verso la stessa identità di genere. Le tutele nei luoghi di lavoro trovano successivamente integrazione in policy aziendali inclusive altamente raccomandate.
Nonostante il rassicurante quadro normativo, nella realtà dei fatti, difficilmente si riesce però a superare la prima e grande vera forma di pregiudizio, cioè la cultura. Il fattore culturale, caratteristico di molti ambienti di lavoro, risulta ancora oggi un grande ostacolo verso la totale integrazione, le tutele e le attenzioni necessarie ad una lavoratrice o ad un lavoratore attivo in precorsi di transizione. Di certo il sindacato, a difesa della tutela di ogni diritto acquisito, non può e non deve permettere che tali difficoltà possano risultare un ostacolo o addirittura arrivare a comportare un malessere psicofisico per queste persone. In questo articolo cercheremo di comprendere come può l’attività sindacale diventare utile o indispensabile, non solo da un punto di vista operativo, ma anche prodigandosi per sensibilizzare e supportare manifestazioni di solidarietà da parte dei colleghi di lavoro. Raccontiamo quindi la storia di Andrea e di Henk, persone che hanno vissuto esperienze in grado di farci riflettere e comprendere al meglio come intervenire e supportare il loro benessere in questi contesti che riguardano ovviamente anche il lavoro.
Andrea
Ciao, io sono Andrea, sono nato Andrea due anni fa. Questo perchè ho trascorso i primi 36 anni in un corpo che non ho mai accettato. Anni di terapia mi hanno permesso di comprendermi, di accettarmi e di decidere che era arrivato il momento del cambiamento, quello che ho sempre sentito dentro di me. Quindi ho iniziato 4 anni fa un processo di transizione. Inutile elencarvi le difficoltà che, come persona, ho dovuto affrontare; voglio far conoscere la mia storia nel mondo del lavoro, perché penso possa essere di supporto. Sono da sempre un iscritto Uiltrasporti, da quando lavoro nel contesto delle imprese di pulizia, compresi questi ultimi anni, esattamente quelli che sono coincisi con il mio cambio di genere. Svolgo la mia attività per una grande multinazionale presso una nota università.
Quando ho iniziato il percorso ne ho condiviso gli step anche con i miei colleghi e con le persone, che inevitabilmente incontro sul posto di lavoro. È stato per me incredibile percepire come la società possa dimostrarsi maggiormente comprensiva rispetto alla burocrazia caratteristica delle aziende. I colleghi mi hanno aiutato e mi hanno fatto scudo, tutelandomi e supportandomi, accettando questo cambiamento che rendeva sempre difficile vivere alcune cose che voi immaginate come semplici, ma per chi come me affronta una procedura di transizione non lo sono. Racconto qualche esempio: in che spogliatoio mi cambio con il cervello da uomo, ma un corpo da donna? In quali bagni posso entrare? In quelli delle donne? Ma il mio corpo ormai sta perdendo le fattezze femminili. Allora in quello degli uomini? Lo scoglio maggiore si è rivelato quello relativo alla divisa: io avevo delle divise femminili, ma il mio corpo per via degli ormoni aveva quasi perso le curve caratteristiche di un corpo femminile, così il sindacato è intervenuto più e più volte per farmi avere una divisa consona, anche nei riguardi del mio delicato stato psicofisico, aggiungendo le relazioni degli psicologi che spiegavano quanto fosse compromettente, durante le fasi del processo, creare queste condizioni ambigue. Grazie all’intervento della Uiltrasporti sono riuscito ad avere la mia prima divisa da uomo, ben prima del cambio del nome sulla Carta d’Identità (condizione invero richiesta dall’azienda).
Henk
Ciao, io sono Henk e sono olandese, lavoro per una multinazionale della logistica e vivo in Italia da 30 anni. Ho avuto fin da bambino, fisionomia e delicatezza tipiche del sesso femminile, ed ho outing dall’età di 20 anni. Il problema è nato quando, pur non ritenendo il momento di affrontare un percorso di transizione, decisi di iniziare a seguire le mie sensazioni, le mie convinzioni, di sentirmi libero di vestirmi come preferivo, di vivere la mia vita liberamente. Iniziai anche al lavoro a truccarmi, ad acconciarmi i capelli. Le divise erano unisex quindi non erano un problema. Le mie colleghe, quasi tutte donne, ben prima di me si erano probabilmente accorte di questo mio pressante bisogno di accettazione e liberazione.
Io di genere maschile, riconosciute le mie libertà sessuali, non ritenevo di sentirmi a mio agio nel cambiarmi all’interno degli spogliatoi maschili (onestamente anche i miei colleghi uomini non risultavano proprio a loro agio). Idem per quanto concerneva l’uso dei servizi igienici. L’azienda, dopo l‘intervento del sindacato, ha gestito la cosa per metà: ha risolto il problema dei bagni dandomi le chiavi di un bagno di servizio che non veniva usato, praticamente diventato mio (anche se questo mi fa sentire diverso e mi porta a sentirmi…solo). Riguardo gli spogliatoi, in accordo con le mie colleghe, ho iniziato a cambiarmi con loro. Fu molto inclusivo sentire la loro vicinanza e la loro comprensione, in particolare quando prepararono una comunicazione rivolta all’azienda dove sottolineavano solidarietà, citando loro stesse la possibilità che io potessi utilizzare lo spogliatoio femminile senza alcun tipo di problema.
Credo che la società dovrebbe ormai essere pronta!!! Smettere di dividere le persone “per genere”, le etichette non sono mai una cosa positiva e sono sempre divisorie. Le mie colleghe e l’aiuto del sindacato hanno dimostrato che qualsiasi dubbio, qualsiasi discriminazione può essere sorpassata attraverso il buon senso e l’inclusione.
Queste due storie ci aiutano a riflettere, a comprendere quanto difficile possa essere richiedere e ottenere una semplice divisa oppure utilizzare dei servizi igienici. Cose scontate che però possono non esserlo per tutti. Il sindacato vive di comprensione, di inclusione e di libertà, ecco soprattutto quest’ultima dobbiamo essere in grado di tutelare, consci dei diritti che una persona possiede, qualsiasi percorso stia affrontando, per coerente scelta o meno, nella propria vita, inclusa la sfera lavorativa. Anche piccoli gesti, anche piccoli interventi sono e saranno sempre di supporto. Non dobbiamo mai dimenticarci che uno dei nostri compiti principali resta tutelare il benessere psicofisico di chi lavora, quindi anche quello emotivo e sentimentale.