RIDARE DIGNITÀ AL PAESE, ALLE PERSONE, AL LAVORO.

Trasporti in Europa e in Italia: un divario che pesa su cittadini e lavoratori 

Trasporti in Europa e in Italia: un divario che pesa su cittadini e lavoratori 

di Valentina Moriello – Uiltrasporti Campania

Mentre le capitali europee investono in reti moderne e capillari, l’Italia resta indietro: burocrazia, cantieri infiniti e disservizi colpiscono non solo i viaggiatori ma soprattutto chi lavora ogni giorno nel settore. 

L’Italia, tra l’altro, detiene il triste primato europeo per numero di auto circolanti: oltre 680 vetture ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media UE di circa 560. È un dato che fotografa con chiarezza la realtà: i cittadini scelgono l’auto privata non per comodità, ma spesso per mancanza di alternative valide. 

Questa dipendenza ha ricadute pesanti: città congestionate, inquinamento atmosferico alle stelle, incidenti stradali e perdita di tempo produttivo. Eppure, mentre a Parigi o Berlino muoversi senza automobile è la regola, in Italia è ancora percepito come un lusso o una complicazione. 

Il sistema italiano del trasporto pubblico si ferma ben al di sotto della media europea: 

  • 40% delle metropolitane, 
  • 53,7% delle reti tranviarie, 
  • 56% delle ferrovie suburbane rispetto alla media UE. 

A Roma, città da quasi 3 milioni di abitanti, ci sono appena tre linee di metro (una incompleta), contro le sedici di Parigi. A Napoli, dove la Linea 1 e anche la Linea 6 sono diventate un’attrazione internazionale grazie alle “Stazioni dell’Arte”, la rete resta comunque corta e insufficiente a coprire i bisogni della popolazione. 

Il risultato è che milioni di cittadini continuano a considerare il trasporto pubblico un ripiego, non una vera alternativa. E questo nonostante i costi dei biglietti non siano più bassi di quelli applicati in molte capitali europee. 

Il confronto ad esempio con Parigi mette in evidenza due mondi totalmente diversi. 

La RATP di Parigi è un esempio di sistema integrato: metro, RER, tram, autobus e persino treni regionali si muovono con un unico abbonamento e una pianificazione centralizzata. Frequenze di pochi minuti, collegamenti capillari, accessibilità garantita. 

Al contrario, i cantieri italiani raccontano una storia opposta: la linea C di Roma, iniziata nel 2007, è ancora incompleta dopo quasi vent’anni. E mentre i lavori avanzano a rilento, i cittadini continuano a subire ritardi, sovraffollamenti e mezzi fatiscenti. 

La vicenda di ATAC (Agenzia del trasporto autoferrotranviario del Comune di Roma) è emblematica. L’Autorità Antitrust (AGCM) ha avviato un’istruttoria per presunte pratiche scorrette e disservizi cronici: 

  • autobus e metro in ritardo, 
  • scale mobili e ascensori fuori uso, 
  • stazioni buie e poco sicure, 
  • nessun rimborso o sconto agli utenti penalizzati. 

Ma dietro ogni disservizio non ci sono solo cittadini arrabbiati: ci sono lavoratori costretti a operare in condizioni impossibili, con mezzi vecchi e risorse limitate. La responsabilità ricade anche sulle scelte politiche: il nuovo contratto di servizio con Roma Capitale, affidato ancora in house, non sembra affrontare le criticità strutturali né garantire un vero piano industriale. 

Purtroppo le cause che frenano tutto possono essere individuate nella burocrazia e negli appalti. 

Di fatto la lentezza italiana è anche frutto di un sistema amministrativo e normativo farraginoso: 

  • ogni progetto deve passare attraverso una giungla di autorizzazioni, ricorsi e sovrapposizioni di competenze; 
  • le gare pubbliche vengono vinte troppo spesso al massimo ribasso, con conseguente scarsa qualità e fallimenti a catena; 
  • i finanziamenti sono frammentati e legati a eventi eccezionali (Giubileo, Expo, Olimpiadi), invece di un disegno organico e stabile. 

Così si moltiplicano i cantieri infiniti, i lavori interrotti e le promesse mancate. Una lentezza che non solo penalizza i cittadini, ma mina l’occupazione stessa: lavoratori edili, tecnici, ingegneri e manutentori vivono tra precarietà e incertezze, spostati da un progetto all’altro senza garanzie. 

Ma il vero problema che dietro il tema dei trasporti si nasconde una questione sociale: senza un servizio pubblico efficiente, i costi ricadono sui più deboli. Chi non può permettersi l’auto è costretto a subire ritardi, attese infinite, collegamenti scadenti. 

Per i lavoratori del settore, la situazione è ancora più grave: 

  • personale viaggiante e tecnico esposto a stress continuo, tra guasti, aggressioni e carenze di organico; 
  • operai dei cantieri che vivono di contratti precari e sospensioni legate ai ricorsi amministrativi; 
  • manutentori che lavorano su impianti vecchi, senza strumenti adeguati. 

Il Sindacato ha ben chiaro che senza investimenti strutturali e senza dignità per chi lavora nel settore, l’Italia continuerà a rincorrere l’Europa senza mai raggiungerla. 

Le priorità sono chiare: 

  • infrastrutture moderne e sicure, con risorse certe e non a singhiozzo; 
  • semplificazione delle procedure per accorciare i tempi di realizzazione delle opere; 
  • standard minimi di qualità garantiti da controlli reali e sanzioni per i gestori inadempienti; 
  • tutele contrattuali e occupazionali per i lavoratori del settore, troppo spesso invisibili nelle grandi strategie; 
  • integrazione tariffaria e territoriale, per rendere il trasporto pubblico accessibile a tutti e non solo a chi vive nelle grandi città. 

Il divario con l’Europa non è solo questione di binari e stazioni: è una frattura di dignità e diritti. 

Ma la diversità con le capitali europee non è inevitabile. È il risultato di scelte politiche, priorità sbagliate e gestione inefficiente. 

Colmare quel gap significa dare più tempo e più diritti ai cittadini, ma soprattutto significa dare lavoro stabile e dignitoso a migliaia di persone che oggi mandano avanti il sistema tra mille difficoltà. 

Perché la mobilità non è solo spostarsi da un punto all’altro: è coesione sociale, sostenibilità ambientale e dignità del lavoro. 

Se l’Italia vuole davvero rimettersi in moto, deve partire da qui.