Di Valentina Moriello – Uiltrasporti Campania
Dopo dodici giorni di intensa escalation, il Medio Oriente ha finalmente trovato un’ancora di tregua. L’annuncio del cessate il fuoco tra Israele e Iran, mediato dal Presidente statunitense Donald Trump, ha scatenato un’ondata di sollievo sui mercati finanziari globali, che avevano assistito con apprensione a un’impennata della volatilità e delle incertezze.
La “Guerra dei Dodici Giorni”, tuttavia, sebbene breve, ha lasciato un segno tangibile, soprattutto per le economie direttamente coinvolte. Israele ha subito perdite stimate in circa 12 miliardi di dollari, con costi totali che potrebbero salire a 20 miliardi, a causa di spese militari, risarcimenti per aziende e residenti sfollati, e danni a edifici e infrastrutture critiche, inclusa la chiusura temporanea della raffineria di petrolio Bazan. L’Iran, già gravato da decenni di sanzioni, ha sopportato un peso economico ancora maggiore, con stime che parlano di perdite dirette e indirette tra i 24 e i 35 miliardi di dollari.
La notizia della tregua ha innescato un immediato “rally di sollievo” sui mercati. Ed infatti il prezzo del petrolio, che aveva superato gli 80 dollari al barile nei giorni di maggiore tensione, è prontamente sceso al di sotto dei 70 dollari. Questo calo è stato accolto con entusiasmo dagli investitori, in quanto porterebbe inevitabilmente ad una riduzione delle pressioni inflazionistiche e dei costi per le imprese.
Anche i mercati azionari hanno risposto positivamente. Durante il conflitto, la principale preoccupazione dei mercati era legata alla possibile interruzione delle forniture petrolifere, ma la rapida conclusione delle ostilità ha scongiurato uno scenario ben peggiore, che avrebbe potuto portare il petrolio oltre i 100-120 dollari al barile e innescare un’impennata dell’inflazione globale.
In conclusione, la “Guerra dei Dodici Giorni” ha dimostrato ancora una volta come gli eventi geopolitici, pur di breve durata, possano avere un impatto immediato e significativo sui mercati globali, soprattutto per quanto riguarda le materie prime strategiche.
Tuttavia, la rapida ripresa dei mercati ha suggerito una certa “resilienza” del sistema finanziario globale, che spesso tende a riassorbire gli shock geopolitici in tempi relativamente brevi, a meno che non si tratti di conflitti prolungati con impatti diretti sulla produzione e sul commercio.
Nonostante l’attuale euforia, gli analisti rimangono, però, cauti sulla durabilità della tregua. La regione mediorientale è, da sempre, un focolaio di instabilità, e la possibilità di future recrudescenze non può essere esclusa.
Tuttavia, mentre il mondo tira un sospiro di sollievo per la pace ritrovata, seppur fragile, un’altra incognita economica di proporzioni globali continua a proiettare la sua ombra: la politica economica del Presidente americano Donald Trump.
L’attenzione, infatti, è tornata a spostarsi sulle politiche interne degli Stati Uniti, in particolare sulle discussioni relative a nuove tariffe e al “Big Beautiful Bill” proposto dal Presidente Trump, oggetto di un forte dibattito politico – economico per l’impatto che potrebbe avere sull’inflazione.
Da questa manovra economica il dollaro potrebbe, nell’immediato, rafforzarsi per via dell’afflusso di capitali attratti dai rendimenti più elevati, ma, nel medio-lungo termine, le preoccupazioni legate alla sostenibilità del debito pubblico USA potrebbero indebolire l’economia su più fronti. Infatti, nel pacchetto rientra anche l’eliminazione di numerosi incentivi per l’acquisto di auto elettriche e investimenti in rinnovabili, il che rischia di avere un impatto diretto sulle aziende del settore green. Le azioni legate alla transizione energetica potrebbero subire forti ribassi, in quanto verrebbero meno importanti leve di crescita. E se da un lato i tagli fiscali proposti da Trump potrebbero rappresentare un volano per le piccole e medie imprese e per il settore finanziario, d’altro canto i tagli alla spesa sociale potrebbero penalizzare i consumi interni, colpendo in particolare i titoli del settore healthcare e dei beni di prima necessità.
È innegabile che la politica economica di Donald Trump, caratterizzata da un’aggressiva imposizione di dazi e da un approccio “America First“, rappresenta un rischio strutturale che, a differenza di un conflitto localizzato, ha un impatto pervasivo e di lungo termine sui flussi commerciali globali.
Dal suo ritorno alla Casa Bianca, il Presidente Trump ha rilanciato la sua strategia tariffaria, estendendo i dazi a quasi tutte le merci importate negli Stati Uniti. Il tasso tariffario medio effettivo degli Stati Uniti è salito a livelli senza precedenti, il più alto in oltre un secolo, con un incremento generale del 10% sui beni importati e aliquote ancora più elevate su specifici paesi o settori. Ad esempio, i dazi sull’acciaio e l’alluminio sono stati ulteriormente inaspriti, e si parla già di tariffe sul rame.
La politica dei dazi di Trump, pur mirando a incentivare la produzione interna e a ridurre i deficit commerciali, sta generando significative ripercussioni negative quali l’aumento dei costi e dell’inflazione.
Si sta così innescando una spirale di protezionismo che danneggia il commercio globale nel suo complesso, come già dimostrato dalle risposte di ritorsione da parte della Cina e di altri partner commerciali, che hanno imposto a loro volta dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti. È innegabile, pertanto, che la costante minaccia di nuove tariffe e l’imprevedibilità della politica commerciale creino un clima di incertezza che frena gli investimenti a lungo termine da parte delle imprese, sia negli Stati Uniti che all’estero, con effetti negativi su salari e occupazione, in particolare nei settori manifatturiero e agricolo.
Ne risulta che se i mercati hanno dimostrato una notevole capacità di assorbire lo shock di un conflitto circoscritto e di breve durata, la “guerra dei dazi” in corso rappresenta una minaccia più insidiosa e persistente. La tregua in Medio Oriente ha rimosso una fonte immediata di volatilità, ma non ha risolto le tensioni strutturali create dalla politica commerciale di Trump.
In questo scenario, gli investitori si trovano a navigare in un mare di incertezze. Da un lato, il desiderio di stabilità geopolitica e il sollievo per il cessate il fuoco. Dall’altro, la consapevolezza che le politiche protezionistiche, con il loro impatto su inflazione, crescita e supply chain, potrebbero continuare a destabilizzare l’economia globale. La speranza è che i negoziati commerciali in corso, come quelli che hanno portato a un accordo sui minerali rari con la Cina o la pausa su alcune tariffe reciproche, possano portare a una de-escalation. Tuttavia, la storia recente suggerisce che la politica dei dazi di Trump rimane un fattore imprevedibile che continuerà a influenzare profondamente i mercati mondiali.