RIDARE DIGNITÀ AL PAESE, ALLE PERSONE, AL LAVORO.

Allarme sulla riforma dei porti: rischio di rottura dell’ecosistema portuale 

Allarme sulla riforma dei porti: rischio di rottura dell’ecosistema portuale 

Di Pier Dario Moroni e Dario Finetti – Uiltrasporti Toscana 

Lavorando ogni giorno in un’Autorità di Sistema Portuale, conosciamo bene l’equilibrio delicato che tiene insieme il nostro mondo. 

È per questo che guardiamo con grande preoccupazione alla riforma che istituisce Porti d’Italia S.p.A. e ridisegna la governance dei porti. 

La riforma, così come è scritta, non chiarisce quale contratto collettivo nazionale verrà applicato ai lavoratori che saranno assunti direttamente da Porti d’Italia S.p.A.. Per noi è un fatto gravissimo, perché rischia di mettere in discussione l’unità del sistema portuale italiano. 

Nel porto oggi parliamo tutti lo stesso linguaggio contrattuale: dal terminalista all’Autorità di Sistema Portuale, perché il personale delle AdSP ha un rapporto di lavoro privatistico ed è tutelato dal Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori dei Porti

Se domani, in quello stesso ecosistema, entrassero lavoratori con un contratto diverso — magari più debole — significherebbe introdurre due regimi dentro la stessa catena operativa. E questo porterebbe inevitabilmente conflitti su turni, reperibilità, sicurezza e indennità. È una frattura che il nostro settore non può permettersi. 

La specialità del personale delle Autorità di Sistema Portuale è stata riconosciuta dalla legge 84/1994 e confermata dalla Corte costituzionale. Non si tratta di un privilegio, ma di una condizione tecnica che garantisce la continuità operativa tra banchina, retroporto e Pubblica Amministrazione. Cambiare questo equilibrio, senza dire chiaramente quale CCNL si applicherà a Porti d’Italia, significa aprire un fronte di conflitto immediato nei porti italiani. 

Sul piano industriale e della governance, la riforma affida a Porti d’Italia S.p.A. la progettazione, le approvazioni, gli espropri, gli affidamenti e l’esecuzione delle opere strategiche e delle manutenzioni straordinarie, con una concessione di lunghissimo periodo. Allo stesso tempo, la nuova società potrà operare anche sul mercato. Così si concentra molto potere in un soggetto nazionale, ma senza chiarire fino in fondo tempi, responsabilità, finanziamenti e regole del lavoro. Il rischio, secondo noi, è duplice: da un lato si indeboliscono le Autorità di Sistema Portuale, togliendo loro risorse e funzioni; dall’altro si crea un soggetto centrale che potrebbe non essere operativo nei tempi promessi. 

Un altro punto che ci preoccupa è quello delle risorse. La riforma prevede che una quota significativa delle entrate delle Autorità di Sistema Portuale confluisca in un Fondo nazionale, destinato a finanziare le opere strategiche affidate a Porti d’Italia. Parliamo della quota investimenti dei canoni concessori e di una percentuale fino al 25% delle tasse di ancoraggio, merci e autorizzazioni. 
Questi soldi verrebbero prelevati subito, mentre l’operatività della nuova società dipenderebbe da una lunga serie di decreti e convenzioni ancora da scrivere. 
Se i decreti arrivassero in ritardo, il rischio sarebbe chiaro: le AdSP resterebbero senza liquidità per le manutenzioni, i dragaggi di mantenimento, la sicurezza e la viabilità interna, e nel frattempo i cantieri promessi da Porti d’Italia non partirebbero. 
Sarebbe un paradosso: togliere risorse a chi oggi mantiene i porti operativi per finanziare una struttura che, almeno per un po’, potrebbe non essere in grado di lavorare. 

Ci lascia perplessi anche la nuova catena decisionale. 
La riforma introduce molti più livelli: il decreto opere strategiche, la convenzione di concessione, la convenzione quadro tra Porti d’Italia e la Conferenza nazionale, e poi convenzioni attuative con ogni singola Autorità di Sistema Portuale. 
Se questi atti non saranno chiari e tempestivi, il cosiddetto “sportello unico” rischia di diventare un doppio binario, con più passaggi, più interlocutori e più possibilità di scontro su chi comanda nei cantieri. 
Questo rischio è concreto anche per i dragaggi, che vengono presentati come esempio di semplificazione ma, in realtà, restano legati a pareri e autorizzazioni che non dipendono da Porti d’Italia e che possono generare contenziosi. 

Un’altra modifica importante riguarda gli assetti di governo dei porti. 
Cambia la nomina del Segretario generale, che verrebbe sottoposta al parere preventivo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e si allargano gli organi di gestione inserendo rappresentanti ministeriali e della nuova società Porti d’Italia nei luoghi decisionali dei porti. 
Così, però, si sposta l’asse decisionale lontano dai territori, riducendo il peso delle comunità portuali e delle parti sociali proprio nei momenti in cui si decide davvero come funziona il porto. 

Per come la vediamo noi, una riforma scritta in questo modo non accelera il sistema portuale, lo espone. 
Espone le Autorità di Sistema Portuale a un drenaggio di risorse senza garanzie sull’ordinario, espone i lavoratori al rischio di rompere il contratto unico di settore, ed espone gli scali a una catena di atti attuativi che — se in ritardo o scritti male — possono bloccare gli investimenti e aprire una spirale di contenziosi. 

Noi difendiamo il porto reale, quello che ogni giorno tiene in piedi la sicurezza, i traffici e il lavoro. 
Su questo terreno sentiamo il dovere di dire la nostra, di chiedere chiarezza e, se servirà, di sostenere tutte le iniziative necessarie per difendere l’equilibrio e la dignità del nostro lavoro.